Introduzione

Sebastiano Tringali - Associazione per lo studio del mutualismo e dell’economia sociale, Ames

Nel corso della prima Biennale dell’Economia Cooperativa abbiamo coinvolto i visitatori nell’esperimento di descrivere di getto, in tre termini, la propria idea di cooperativa.


Settantacinque persone, di età, genere, nazionalità e occupazione differenti, si sono così volontariamente prestate a collocare le tessere di un ideale mosaico, sorprendentemente significativo e vivace, a testimonianza della qualità e quantità di elementi che nel corso del tempo, grazie all’apporto di varie culture e sensibilità, hanno arricchito le azioni e le idealità cooperative.


Termini del Tag Cloud

I termini utilizzati, qui visualizzabili (?), sono stati sottoposti ad alcuni docenti universitari esperti di varie discipline, che con alto spirito collaborativo si sono prestati a ragionare su alcune definizioni ricorrenti o significative della cooperazione.


Oltre a Gianluigi Granero, che ne ha proiettato le radici al futuro, ringraziamo quindi Patrizia Battilani, che ne ha indagato la forma di impresa; Nicoletta Buratti, che si è soffermata sui caratteri di innovazione; Franco Manti per averne analizzato la componente etica; Tito Menzani per il fondamentale e fondativo carattere di mutualità. Fabrizio Bracco e Cinzia Modafferi hanno cortesemente voluto conferire a questo esperimento i caratteri di una rilevazione scientifica, dotandoci di un essenziale approccio metodologico e soprattutto analizzando il complesso delle parole utilizzate nel wordcloud.

La collaborazione è proprio una di queste, forse la più elementare radicandosi in una tensione innata nell’uomo, principio fondativo dell’organizzazione sociale, e l’impresa cooperativa ne assume e verifica quotidianamente tutte le implicazioni.

Specialmente a fronte del suo deficit attuale, dovuto anche in parte alle trasformazioni del lavoro che, con l’accentuazione dell’isolamento e della flessibilità, spingono all’indebolimento della capacità di lavorare insieme, rovesciando così il paradigma storico dell’homo faber, latore di conoscenze condivise e tramandabili, e comprimendo le implicazioni sociali del lavoro stesso.


Lavorare insieme, cum laborare, è il primo mobile del working buyout, del coworking, delle pratiche collettive alla base delle cooperative di comunità e delle azioni di rigenerazione urbana. Elementi innovativi che si innestano su radici antiche, dimostrando la tenuta, anche nella percezione collettiva, della capacità di agire insieme e di auto-organizzarsi per uno scopo comune.


Grazie per la collaborazione.

Con radici solide verso il futuro

Gianluigi Granero - Presidente Legacoop Liguria

In occasione della tappa ligure della Biennale dell’Economia Cooperativa, abbiamo parlato di crescita e di sviluppo economico e sociale, forti delle nostre solide radici e della nostra storia di emancipazione. Lo facciamo con lo sguardo rivolto al futuro e l’innovazione come filo conduttore.


Abbiamo organizzato dei “dialoghi” tra cooperatori, relatori ed esperti attorno ai temi di nostro interesse – l’impatto dell’ICT nel fare e promuovere impresa (cooperativa e non), la società e i mercati, la cultura e la gestione dei beni culturali, il turismo, l’ambiente, il welfare, la cittadinanza attiva, il lavoro e la formazione – per confrontarci in modo libero e costruire insieme l’orizzonte delle azioni possibili.


La crisi ha fortemente colpito il movimento cooperativo ligure, dal 2010 ad oggi il saldo delle imprese associate registra un -84, a fronte invece di un aumento dell’occupazione (+2651 posti di lavoro) e del fatturato (+8,1 milioni €). Oggi Legacoop Liguria conta 330 cooperative associate, oltre 15mila occupati e un fatturato superiore a 1 MLD 540 milioni €.


Questi dati ci dicono che la crisi ha colpito duramente soprattutto le piccole e piccolissime cooperative, che il sacrificio sul fronte dei margini e del patrimonio ha consentito di salvaguardare l’occupazione (come è nello spirito cooperativo) e che i processi attivati, quando è stato possibile, per consentire la cessione di rami d’azienda a cooperative più solide, ha raggiunto lo scopo contribuendo al mantenimento di posti di lavoro pur a fronte di crisi aziendali.


Nello stesso tempo la scelta e lo sforzo compiuto per seguire con il massimo impegno tutti i fronti di crisi aperte (alcune delle quali ancora in atto) senza deflettere da quello sul rafforzamento delle cooperative esistenti e sulla promozione cooperativa, ha pagato e sta pagando consentendo di mettere le basi per un possibile futuro del tessuto cooperativo ligure.


Non solo difesa dell’esistente quindi, ma sostegno al nuovo, con uno sguardo particolarmente rivolto ai giovani ed al futuro. Questo è il lavoro che abbiamo fatto con un piano strutturato, lanciato nel 2012 e progressivamente aggiornato: la formazione; la promozione della cultura cooperativa, la presenza sui territori per rispondere al bisogno di nuova cittadinanza; il sostegno alle startup; la promozione e il supporto alla costruzione di reti di collaborazione tra cooperative a partire, anche se non esclusivamente, dai settori dinamici ed innovativi; la diffusione della conoscenza del workers buy out; e – non ultimo – l’apertura al sistema cooperativo nazionale ed internazionale per costruire alleanze imprenditoriali e best practice.


Oggi, grazie ad un percorso iniziato qualche anno fa, aggiungiamo ancora un altro tassello che ha a che fare con il nostro modo di comunicare e di saperci raccontare. Il linguaggio è lo strumento principale per entrare in relazione con la società, essere inclusivi per noi cooperatori dunque passa anche attraverso la nostra capacità di innovare il nostro modo di comunicare.

Per questo motivo, in occasione della Biennale dell’Economia Cooperativa abbiamo dato l’avvio al progetto di #tagcloud chiedendo ad ogni partecipante di contribuire proponendo tre parole che in sintesi definiscano la cooperativa e l’essere cooperatori.

Sono emerse 85 parole chiave diverse a significare la ricchezza interpretativa dell’esperienza di ciascuno.


Le più utilizzate sono state “solidarietà”, “condivisione” e “lavoro”. Una narrazione di noi stessi, dei nostri valori e della nostra diversità che – all’interno di un mondo così competitivo – già ci forniscono una carta d’identità precisa e inequivocabile.


Vi invito ad ascoltare gli interventi video dei partecipanti (link) e a leggere gli approfondimenti degli esperti (link) che hanno prestato un po’ del loro tempo e della loro competenza per ragionare su alcune di queste parole.


Un contributo straordinario.

Impresa

Patrizia Battilani - Università di Bologna, Dipartimento di Scienze economiche

Il mondo della cooperazione è fatto di imprese. In questo si distingue dal non profit che può includere anche altre dimensioni come quella puramente associativa.


Ma che tipo di impresa è quella cooperativa? A questa domanda si può facilmente rispondere riproponendo una locuzione che già nell’ottocento era facile ritrovare nella maggior parte degli Statuti delle imprese cooperative: quella creata “per il miglioramento economico e morale dei soci”.

Ciò che contraddistingue l’impresa cooperativa è quindi il legame fra la crescita economica e quella morale, l’impegno a valorizzare il socio nella sua interezza.

Dal punto di vista pratico, la crescita morale venne storicamente perseguita organizzando per i soci una vasta gamma di servizi che in genere appartenevano a tre distinte tipologie: una qualche forma di copertura per i principali stati di bisogno (a fronte di infortuni, malattie o vecchiaia); la promozione di attività tese ad aumentare il capitale umano (creazione di biblioteche, attivazione di corsi professionali); e, infine, la creazione di situazione di socialità formali o informali (circoli ricreativi, occasioni di incontro).


L’attenzione alla dimensione “morale” del socio collegò ben presto le imprese cooperative alle grandi ideologie dell’epoca, trasformando l’insieme dei soci di ciascuna cooperativa nel nodo di una rete ampia e complessa attraverso la quale circolavano idee, valori, assi di solidarietà. In questo modo la crescita economica e morale del socio diveniva la crescita economica e morale delle comunità locale e dell’intera società. L’impresa cooperativa ha quindi sempre costruito i suoi valori di riferimento grazie alla continua interazione con il mondo esterno all’impresa e con le comunità locali, muovendosi all’interno di reti sociali e culturali.


La capacità di trasformare tale interazione in cultura di impresa è l’essenza vera della cooperazione.

Innovazione e fare cooperativa: una sfida per il futuro

Nicoletta Buratti - Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Economia

Come ci ricordano Bracco e Modafferi nel contributo di apertura, la richiesta posta ai partecipanti alla tappa genovese della Biennale dell’Economia Cooperativa era formulata in modo da fare emergere, attraverso tre parole, l’idea dell’intervistato sul fare cooperativa. Il risultato può quindi essere letto in due modi: come espressione della percezione di ciò che il fare cooperativa è nella realtà, o come espressione dell’ideale verso cui il fare cooperativa dovrebbe tendere.


Sulla base di questa riflessione preliminare, il presente contributo pone l’attenzione sulla parola Innovazione.


Innovazione è un termine che compare poco frequentemente all’interno della nuvola di parole scelte dagli intervistati per descrivere la loro idea di cooperativa. È infatti nominata 9 volte (rispetto alle 22 di solidarietà), mentre in ordine di importanza occupa la 4^ posizione (dopo “solidarietà”, “lavoro”, “condivisione”), a pari merito con “collaborazione” e precedendo la parola “impresa”. Curiosamente, nell’analisi testuale innovazione appare al centro di un abbraccio composto da molteplici termini (impresa, insieme, condivisione …. ma anche crescita, dinamismo, benessere sociale, sviluppo). Fra questi, solidarietà appare una volta sola.

La lettura dei dati raccolti sembra quindi indurre all’affermazione che “non è l’innovazione che caratterizza il fare cooperativa” (nella rappresentazione di ciò che è) e/o che “l’innovazione non è una priorità nel fare cooperativa” (nella rappresentazione di ciò che dovrebbe essere).

Questa evidenza merita una riflessione, perché se l’idea del fare cooperativa emergente dall’analisi delle risposte è fortemente ancorata al valore della solidarietà e quest’ultima invece è così distante dalla parola innovazione, potremmo dedurne che “fare cooperativa” evoca valori fondamentali per l’uomo come essere sociale, ma ha una scarsa proiezione sul futuro e sulle dinamiche evolutive dei mercati e della società nel suo complesso, oggi così fortemente permeata e plasmata dall’innovazione, in tutte le sue forme.


INNOVAZIONE è infatti oggi un termine ricorrente nelle riflessioni politiche, economiche e sociali, così come nelle conversazioni quotidiane. L’innovazione rappresenta un imperativo strategico per le imprese esistenti, che si muovono in un contesto caratterizzato da livelli crescenti di incertezza, dinamismo, volatilità e per le quali innovare diventa la chiave di volta per il successo competitivo. Ma al tempo stesso ci troviamo in una fase dello sviluppo tecno-economico (la c.d. “quarta rivoluzione industriale”), in cui nuove tecnologie a carattere trasversale (Internet of Things, Big Data, robotica, nanotecnologie, nuovi materiali, etc.) stanno rapidamente trasformando non solo i mercati ma anche la società nel suo complesso, aprendo innumerevoli opportunità per la nascita di nuove iniziative imprenditoriali e per modificazioni radicali nei rapporti fra individui, imprese, istituzioni.


Ne consegue che, in una visione produttiva della cooperazione, una forte correlazione con l’innovazione rappresenta oggi una necessità ed una sfida.


Innovazione nel fare cooperativa come necessità. Il riferimento è anzitutto all’impresa che, basandosi sui valori della cooperazione ed avendo assunto quindi una specifica forma imprenditoriale, opera nei mercati industriali e dei servizi al consumo in diretta competizione con altre imprese. Per questa tipologia di impresa cooperativa la capacità di risposta alle sfide poste da un mercato in continua evoluzione, nel quale tecnologie disruptive modificano in modo talvolta radicale i confini del proprio ambiente di riferimento è una necessità, pena la perdita di competitività nel breve e la stessa capacità di sopravvivenza nel medio-lungo periodo. Si pensi, a titolo di esempio, allo scenario c.d. dell’Internet of Things e dei Big Data ed all’impatto potenziale sulle imprese industriali e di servizi (dalla distribuzione di beni di largo e generale consumo alla fornitura di servizi finanziari, assicurativi, etc.…). Mantenere la posizione acquisita in un contesto in rapido cambiamento richiede l’adozione di un orientamento strategico fortemente orientato all’innovazione e al cambiamento, preservando naturalmente l’identità del fare cooperativa, ossia nel rispetto dei valori di solidarietà, lavoro come occasione di crescita, condivisione.


Innovazione nel fare cooperativa come sfida. Dall’altro, occorre riconoscere che in un contesto in rapido cambiamento come quello attuale, l’innovazione assume il ruolo di catalizzatore di processi di imprenditorialità diffusa. Accanto alle immense opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico, molti bisogni dell’uomo restano insoddisfatti e in alcuni casi si osserva addirittura una crescita delle disuguaglianze (etniche, di genere, sociali). Sfide difficili, specie nell’area dei bisogni sociali, attendono ancora risposte adeguate e la cooperazione può rappresentare una risposta a tali bisogni, forse una delle migliori, a patto che sappia rinnovarsi continuamente, nelle modalità di approccio al mercato, nella adozione di soluzioni innovative, nello sviluppo di nuove idee imprenditoriali.


Per concludere, riteniamo che vi siano ancora importanti spazi per la diffusione dell’idea cooperativa e per lo sviluppo dell’impresa cooperativa, se e nella misura in cui la distanza che oggi si avverte rispetto alle tematiche dell’innovazione possa essere colmata. Azioni basate su percorsi di formazione interna, così come iniziative volte ad incentivare nuove intraprese basate sulla forma cooperativa possono svolgere un ruolo chiave in tal senso, contribuendo a diffondere l’idea che fare cooperativa significa ANCHE fare innovazione.

Impresa cooperativa: un impegno etico per l’affermazione di un nuovo modello di crescita

Franco Manti - Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia

Etica ed economia sono un ossimoro o un binomio possibile? I principi (etici) di solidarietà e giustizia, che sono fondamento della cooperazione, sono incompatibili con l’economia di mercato? E, ancora, le cooperative, in un’economia di mercato, sono necessariamente destinate a snaturarsi, a “perdere” la loro connotazione etica, a venire meno ai principi che ne hanno ispirato la nascita, in breve a trasformarsi in una forma d’impresa, legalmente protetta, ma il cui valore fondamentale è l’efficienza economica?


La risposta ai primi due quesiti non è, soltanto, una questione teorica, poiché solo un certo tipo di risposta, che tenterò di fornire, consente di affrontare la terza e di fare chiarezza sulla natura e le possibilità stessa della cooperazione come forma di organizzazione del lavoro e come impresa.


La premessa dalla quale non si può prescindere è l’ineludibilità del mercato. A. Sen , che non ne è, di certo, un apologeta acritico, afferma: «[…] la questione centrale non può essere se valersi dell’economia di mercato oppure no: la prosperità economica non è possibile senza un ampio ricorso ai mercati» 1. Ciò da cui è necessario prendere le distanze è l’idealtipo dell’homo oeconomicus e dalla teoria secondo cui l’economia si fonda su scelte dettate dal cosiddetto egoismo razionale. Sen evidenzia tutti i limiti di tale idealtipo, in quanto individuo che fa dipendere le scelte dal mono - principio dell’interesse personale. Il che comporta il rispondere allo stesso modo a domande distinte quali “cosa soddisfa il mio interesse?”, quali sono i miei scopi?” “cosa devo fare?”. Perciò, egli non esita a definire l’homo oeconomicus «uno sciocco razionale» 2. Inoltre, «[…]la forza analitica della non - distinzione […]» 3, insita nel modello di scelta proprio dell’homo oeconomicus, comporta un’implicita negazione della libertà di pensiero, un condizionamento che, insieme, non consente di distinguere fra diverse idee e fra varie ragioni di scelta.


Del resto, alle origini dell’economia politica, A. Smith, aveva sottolineato come a fondamento del mercato vi fosse un particolare sentimento morale: la sympathy. Scelte e accordi economici implicano, insieme a un amor verso se stesso (self love) e, dunque, per il suo lavoro, di colui che offre un prodotto, un accordo basato sulla reciproca comprensione fra questi e chi lo acquista 4. Inoltre, egli individua un ben preciso rapporto fra economia e giustizia. Nel Cap. I del Libro V de La ricchezza delle nazioni, fra l’altro, viene evidenziato come far sottostare la giustizia al guadagno sia fonte di gravi abusi. 5

Da questo resoconto ne consegue che: mercato e profitto non sono sinonimici; 2. L’economia non può prescindere dalla giustizia; 3. Quest’ultima costituisce il terreno d’incontro fra etica ed economia.

Pertanto, la cooperazione con gli ideali di solidarietà e giustizia che ne costituiscono le ragioni fondanti si configura come un particolare modello di impresa capace di operare in termini di mercato con forme e modalità proprie diverse da dalle aziende profit, ma come vedremo, non necessariamente alternative o conflittuali.


Va anche sottolineato come termini quali solidarietà e giustizia siano molto generali e vadano declinati. Il primo ha a che fare con l’inclusione sociale, il consenso sociale e il sistema sociale, il secondo con l’eguaglianza (e la diseguaglianza), l’equità, il benessere.


Le cooperative sociali rappresentano, pertanto, la sintesi fra solidarietà e capacità imprenditoriale secondo criteri di giustizia atti a sviluppare, insieme, equità e benessere. La loro funzione è destinata a essere sempre più centrale se si passa da una concezione tradizionale del welfare basata, essenzialmente, sulla crescita quantitativa a una visione basata sul well – being (stare bene) che pone al centro una concezione qualitativa della crescita intesa, in primo luogo, come riduzione delle diseguaglianze ingiuste e, poi, come sviluppo della qualità dell’essere delle persone, della loro capacità di dare forma a impegni, obiettivi, valori 6. Perciò, la valorizzazione dell’intangibile e del capitale sociale, che dovrebbero caratterizzare l’impresa cooperativa, emerge come ineludibile per qualsiasi tipologia aziendale e costituisce uno dei terreni di confronto/incontro fra profit e non profit. Si tratta di un terreno, in buona parte, da esplorare e la cui possibilità è data da un approccio alla Responsabilità Sociale d’Impresa che sposti la centralità da quest’ultima agli stakeholder e ai loro bisogni. In breve, per dirla con Freeman e Velamuri 7, è fondamentale che la responsabilità delle imprese tutte (grandi, medie, piccole, cooperative, ecc.) non sia auto centrata, ma renda conto appunto a tutti gli stakeholder, interni ed esterni. In questo consiste la “sostanza etica” dell’imprenditorialità. È proprio su questo terreno che è possibile pensare a una maggiore integrazione e a una progettazione imprenditoriale comune fra profit e non profit orientata allo sviluppo qualitativo e al ben-essere, senza che nessuno si “snaturi”.


Non è questa la sede per entrare nel dettaglio degli strumenti di comunicazione etico – sociale d’impresa verso gli stakeholder atti a sviluppare le relazioni e a coinvolgerli attraverso un processo comune di conoscenza tale da costituire lo sfondo di consapevolezza e di co-responsabilizzazione (nel rispetto di ruoli e funzione) finalizzato allo sviluppo di interventi capaci di coniugare solidarietà e giustizia. Mi limito a evidenziare come uno strumento fondamentale di accountability quale il bilancio sociale possa, al tempo stesso, registrare l’impatto sociale di attività imprenditoriali profit, non profit e condotte in collaborazione fra le due realtà. Al tempo stesso, però, va evidenziata la diversa posizione, dal punto di vista etico, fra un’impresa profit e una cooperativa. Nel primo caso, la solidarietà e la giustizia vengono assunte come scelte morali che trovano riscontro in un bilancio sociale, propriamente detto, quale modalità di rendicontazione sulla gestione non caratteristica. Per un’impresa cooperativa, la rendicontazione sociale è l’unica possibile e coerente con la sua mission, ossia, si tratta di una rendicontazione caratteristica. Infatti, più che di bilancio sociale si dovrebbe parlare di bilancio di missione 8 che risponde all’esigenza della legittimazione sociale e misura l’effettiva realizzazione (quanto e come) della missione della cooperativa. Ciò evidenzia la stretta compenetrazione fra etica e mission dell’impresa cooperativa, sottolineandone la responsabilità morale nel praticarla effettivamente e nella quotidianità.


È a partire da questa consapevolezza etica che l’impresa cooperativa può, mantenendo e sviluppando concretamente, i valori morali che la contraddistinguono dare un contributo importante e collaborare con le imprese profit per l’affermazione di un’idea di crescita che alla centralità assoluta del PIL sostituisca l’attenzione prioritaria allo sviluppo della FIL (Felicità Interna Lorda) fondata sul well-being.


1 A. Sen, Globalizzazione e libertà, trad.it., A. Mondadori, Milano, p. 7.
2 A. Sen, Razionalità e libertà, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 10-12. Cfr. anche, ivi, nota. 4, p. 11.
3 Ivi, p. 11.
4 Cfr. A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, trad.it., Istituto della Enciclopedia Treccani, Roma 1991, pp. 232-233. Per una trattazione più ampia e approfondita, cfr. F. Manti, Scelte di mercato. Una teoria della decisione ragionevole, in AA.VV., Etica ed Economia il binomio possibile, Sentieri Meridiani, Foggia 2010, pp. 10-28.
5 Cfr. A. Smith, La ricchezza delle nazioni, trad. it., Newton, Roma 1995, pp. 589-590.
6 Cfr. A. Sen, La Diseguaglianza, trad. it., Il Mulino, Bologna 1994, p. 63 e ID., Etica ed economia, trad. it., Laterza, Roma- Bari 2006, p. 54.
7 Cfr. R.E. Freeman e S.R. Velamuri, Un nuovo approccio alla CSR: responsabilità verso gli stakeholder d’impresa (Company Stakeholder Responsibility), trad. it., in R.E. Freeman, G. Rusconi, M. Dorigatti (a cura di), Teoria degli Stakeholder, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 253-269.
8 Cfr. L. Hinna, Bilancio di missione e di ricaduta sociale, in L. Sacconi (a cura di), Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria Editrice, Roma 2005, pp. 679-687.

Mutualità

Tito Menzani - Università degli Studi di Bologna, Scuola di Economia, Management e Statistica

La cooperativa è un’impresa nella quale le relazioni tra i soci sono orientate al conseguimento di un fine comune, e cioè la realizzazione dello scopo mutualistico attraverso l’esercizio di una specifica attività imprenditoriale. Definire cosa sia la «mutualità» non è così semplice come potrebbe apparire, visto che la mera esplicitazione di questo concetto – e cioè che la mutualità è il rapporto di reciprocità che i soci hanno con la propria cooperativa – non è sufficiente a fare chiarezza. Infatti, pur se esiste un senso comune in merito, discipline differenti hanno dato interpretazioni distinte. Sicuramente, si tratta di un concetto fondante per la cooperativa, intesa come un’impresa con dei soci che opera nell’interesse collettivo degli stessi. Questi si sono riuniti in cooperativa per raggiungere un obiettivo al quale singolarmente non avrebbero potuto ambire, e l’interesse da loro perseguito non è esclusivamente economico, anzi questo genere di dimensione appare complementare rispetto a motivazioni di altra natura. Si tratta di un «patto sociale», che si protrae nel tempo se lo scambio mutualistico – appunto, la corrispondenza biunivoca tra soci e impresa cooperativa – continua ad essere vantaggioso.

Le cooperative sono state definite un Giano bifronte, perché si tratta di organizzazioni contraddistinte da una duplice natura. In pratica, coesistono due dimensioni diverse sia pure non rivali: la dimensione economica, perché si tratta di una impresa che opera entro il mercato, accettandone la logica e le regole, e la dimensione sociale, perché persegue fini extraeconomici e che genera esternalità positive a vantaggio di altri soggetti e virtualmente dell’intera collettività.

Nelle cooperative di consumo, ad esempio, i soci trovano generi alimentari e altri prodotti con un rapporto qualità/prezzo conveniente. In quelle di produzione e lavoro, ottengono la garanzia di un impiego che li mette al riparo dal rischio della disoccupazione. In quelle agroalimentari, ricevono sostegno tecnico-organizzativo e vantaggio economico negli acquisti e nelle vendite collettive. Gli esempi potrebbero proseguire. A tutte queste considerazioni, si deve aggiungere che le cooperative danno un ulteriore beneficio ai soci, perché a bilancio chiuso ed approvato – se la gestione complessiva è stata efficiente e positiva – viene distribuito il ristorno, ossia la parziale ripartizione degli utili realizzati dalla cooperativa.


Quindi, la mutualità è un concetto che rimanda ad un vantaggio collettivo sia economico che non economico, che giustifica l’esistenza stessa della cooperativa, intesa come un genere d’impresa con finalità diverse rispetto al mero profitto. Paradossalmente, però, il concetto di mutualità non appartiene ai sette principi fondamentali della cooperazione, che l’International co-operative alliance (Ica) ha elaborato nel 1895. Anche se questi principi sono stati successivamente e a più riprese un poco rivisti, non si è mai aggiunto un riferimento alla mutualità.


Prima di cercare di capirne il motivo è utile suddividere le cooperative per categorie mutualistiche, ossia sulla base del tipo di scambio (o di patto) stabilito fra i soci. In generale si distinguono tre tipologie, e cioè le cooperative di lavoro, di utenti e di supporto. Le cooperative di lavoro sono quelle i cui soci sono gli addetti, che producono un bene o un servizio da vendere sul mercato; ci si sta riferendo alle cooperative di conduzione agricola, di costruzioni, manifatturiere, di servizi all’impresa e alla persona, culturali, di comunicazione e sociali di tipo A.


Le cooperative di utenti, invece, sono quelle i cui soci non lavorano all’interno della cooperativa ma fruiscono dei suoi servizi. Il caso principale è quello delle cooperative di consumatori, ma anche di abitanti e di utilities (poco presenti in Italia ma molto diffuse in alcuni paesi esteri); così come entrano in questo gruppo le mutue, pur se si tratta di organizzazioni storicamente tenute distinte dalle cooperative.


Il terzo e ultimo gruppo è quello delle cooperative di supporto, i cui soci sono (piccoli) imprenditori che danno vita a forme cooperative per gestire collettivamente alcuni aspetti della propria attività. È il caso delle cooperative agroalimentari e fra coltivatori diretti – per l’utilizzo delle macchine agricole, per l’acquisto o la vendita collettiva di prodotti, per la trasformazione, quali cantine sociali, caseifici sociali, molini sociali, ecc. –, ma anche di quelle fra dettaglianti, e di quelle fra trasportatori, come i tassisti o i cosiddetti padroncini.


Esistono poi alcuni casi intermedi: le cooperative sociali di tipo B ricadono sia nell’area delle cooperative di lavoro, ma anche di quelle di utenza, perché i soggetti svantaggiati che vi operano sono all’unisono lavoratori e fruitori (seppur indiretti) del servizio. Lo stesso si può dire delle cooperative di comunità che hanno una base sociale composta da addetti e da utenti. Infine, la banche di credito cooperativo si collocano a metà fra l’area dell’utenza e del supporto, dato che i soci sono sia cittadini risparmiatori che imprenditori interessati a servizi bancari rivolti alle aziende.


Abbiamo anticipato che sul tema della mutualità studiosi di diversa formazione hanno ragionato su basi molto diverse, e che la mutualità è un fatto molto più complicato di quanto possa sembrare. Per meglio comprendere questo concetto, occorre esplicitare almeno tre elementi. In primo luogo, la mutualità è di fatto presente soprattutto in forme non pure, a partire dal caso delle cooperative di lavoro e di utenza (imprese con lavoratori soci e non soci, cooperative di consumo con clienti non soci), ma anche nelle cooperative di supporto (cooperative agricole o agroalimentari che operano con produttori non soci). In merito a questo fenomeno, nel 2003, il Legislatore ha suddiviso le cooperative in due gruppi: a mutualità prevalente (nelle quali più del 50% del fatturato deriva dall’attività con soci) e a mutualità non prevalente (nelle quali meno del 50% del fatturato deriva dall’attività con soci). Queste due tipologie di cooperative hanno fiscalità differenti e regole diverse in merito all’accumulazione delle riserve.


In secondo luogo, il funzionamento mutualistico delle cooperative ha una ricaduta positiva sulla collettività in generale, benché spesso quest’ultima venga definita indiretta o sussidiaria. Questa esternalità positiva, in genere, è considerata minoritaria rispetto alla mutualità in senso stretto, ma comunque non trascurabile. In particolare si è sostenuta una funzione civile e sociale delle cooperative, nel formare persone migliori. Le cooperative di consumo trasmettono una sana cultura dell’alimentazione ai cittadini, quelle di produzione e lavoro hanno un ruolo sociale emancipatorio e perequativo, quelle agroalimentari incidono favorevolmente sulla valorizzazione e sulla tutela ambientale dei territori e dei prodotti locali. Inoltre, queste predisposizioni valoriali facilitano la responsabilità sociale d’impresa.


In terzo e ultimo luogo, è acclarato che le imprese private tradizionali hanno lo scopo di lucro; tuttavia non è altrettanto chiaro se le cooperative abbiano solo lo scopo della mutualità, o anche lo scopo della mutualità in aggiunta a quello di lucro. Oppure, come spesso si sostiene, se la finalità lucrativa non sia un co-fine, bensì il mezzo per raggiungere lo scambio mutualistico, tant’è che il ristorno è sempre stato “limitato” a vantaggio delle riserve indivisibili. In passato, si era soliti dire che nelle cooperative il lucro non era lo scopo, ma un mezzo per raggiungere la finalità mutualistica. Oggi, prevale l’idea che nelle cooperative il lucro sia oggettivo, ma non soggettivo. Si tratta di un dilemma che apre le porte al problema di come la debba essere misurato e valutato l’andamento dell’impresa cooperativa.


Infatti, dato che il fine della cooperativa non è la massimizzazione del profitto, come nell’impresa privata tradizionale, bensì il perseguimento dello scopo mutualistico, non è possibile giudicare l’andamento di questo genere d’impresa e l’operato di chi la dirige dai soli risultati di gestione. Infatti, in cooperativa non è il capitale che assume il lavoro, bensì il lavoro (o l’utenza) che ingaggia il capitale.


La dicotomia tra dimensione economica e dimensione sociale rende la cooperativa una realtà molto complessa da governare, perché bisogna evitare che l’equilibrio suaccennato venga meno. Se il baricentro si spostasse troppo verso l’obiettivo economico, la cooperativa rischierebbe l’omologazione con le imprese private tradizionali. Viceversa, se il baricentro si spostasse troppo verso l’obiettivo sociale, la cooperativa tradirebbe la propria natura imprenditoriale e rischierebbe il fallimento. A rendere ulteriormente difficile la gestione dell’impresa cooperativa c’è il fatto che il suo equilibrio deve essere dinamico, nel senso che il patto mutualistico deve continuamente adeguarsi all’evoluzione della società e dell’economia, per cui la conciliazione fra sfera imprenditoriale e sfera economica deve essere via via ripensata di fronte alle sfide imposte dal mercato.

Analisi dei termini utilizzati

Fabrizio Bracco - Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Scienze della Formazione

Cinzia Modafferi - VIE srl – Valorizzazione, Innovazione, Empowerment (Spinoff dell’Università di Genova)

"Tre parole che descrivano la tua idea del fare cooperativa". Questa era la richiesta posta ai partecipanti alla tappa genovese della Biennale dell’Economia Cooperativa. Dal punto di vista psicologico, l’analisi delle risposte comincia da una riflessione preliminare sulla richiesta: descrivere l’idea del fare cooperativa. Le persone possono aver risposto sostanzialmente in due modi: dando la loro opinione su quello che hanno vissuto e vivono nell’agire cooperativo, oppure fornendo quella che è la loro definizione ideale di cooperativa. Le parole fornite possono quindi rappresentare sia una fotografia della situazione reale, per come è, o riprodurre la rete di significati legati alla cooperativa, per come dovrebbe essere.


Osservando il wordcloud, colpisce la frequenza con cui compare la parola Solidarietà, seguita da Lavoro e Condivisione. L’agire cooperativo evoca quindi un pensiero rivolto soprattutto alla dimensione valoriale della cura verso l’altro, dell’ascolto del bisogno, dell’intervento non meramente utilitaristico ed egoistico. Ma questo valore orientato al sostegno si lega al lavoro, non è quindi un agire di tipo volontaristico. Il lavoro è condiviso, si tratta di reciproco aiuto e organizzazione spinta da valori sociali. A seguire, in termini di frequenza, compare Collaborazione, che si associa alla precedente Condivisione, ma con un significato più operativo. Non stupisce quindi che sia seguita da termini come Innovazione e Impresa, che mettono in luce la natura produttiva dell’agire cooperativo, una doppia anima che combina i valori sociali, la condivisione e l’imprenditorialità nella sua forma più moderna di innovazione. Nuovi modi di fare impresa alla luce dei valori di solidarietà. Ed ancora, continuando con le frequenze, troviamo Opportunità e Insieme che ben rappresentano questa dualità, la prima evidenzia il cosa, la sfida da cogliere, la seconda descrive il come: partecipando insieme.


Dal momento che le parole da indicare erano tre, potrebbe essere interessante riflettere sulle associazioni fra parole. In particolare, abbiamo analizzato le co-occorrenze della parola Solidarietà, ossia quanto risulta vicina ad altre parole nei testi in un range compreso tra 0 e 1, il grafico rappresenta le parole associate con la soglia maggiore di 0.19.


Analisi dei termini utilizzati

Come si vede dal grafico, la parola Solidarietà compare più frequentemente associata a Rete (0.27) e Democrazia (0.34). Ciò significa che per chi ha fornito le tre parole, quando ha menzionato la solidarietà ha poi associato la democrazia e la rete. I due termini sono in linea con le riflessioni fatte in precedenza sul wordcloud, perché la solidarietà dell’agire cooperativo sembra legarsi sia a pratiche di condivisione egualitaria (la democrazia), sia al mutuo supporto, il legame, la connessione (la rete).


Con associazioni meno frequenti, ma comunque significative, troviamo la co-occorrenza con parole legate al futuro (riscatto, lungimiranza, cambiamento) e parole legate alla condivisione (eguaglianza, assistenza, reciprocità, sinergia).


Provando a raggruppare i concetti emersi in questo lungo elenco di parole (109 in totale), emergono quattro grandi temi. Il primo, il più corposo, è la rete di solidarietà. Essa raggruppa almeno 45 parole (assistenza, coesione, connessione, lealtà, partecipazione, rete, rispetto, servizi). A seguire c’è il tema dell’Impresa (21 parole), con termini dinamici e attivi come: autoimprenditorialità, competenza, creare, dinamismo, efficienza, fare, lavoro, qualità. Un terzo tema è quello del Futuro (17 parole), con termini come avvenire, cambiamento, crescita, evoluzione, giovani, innovativo, voglia di fare. Un quarto tema è il senso dell’Identità (13 parole), caratterizzato da termini come storia, resistenza, impegno, passione, buone pratiche, donna. Infine, il tema della Democrazia (7 parole), con termini come bene comune, eguaglianza, giustizia, pensiero collettivo.


Quale idea di agire cooperativo, quindi? Una forte componente solidale, eticamente connotata, fatta di mutualità e unione, con un’attenzione al fare impresa in modo energico, creativo, ma è un’impresa nuova, aperta al futuro, dinamica, giovane, che ha una forte identità data dal suo passato, dai suoi valori, dalle sue pratiche, che agisce su un territorio, un tessuto sociale, mossa dai principi democratici del bene comune e della giustizia sociale.